Sri Lanka, la lacrima dell’India

Trattandosi di un posto autentico e non ancora troppo soggetto a turismo, lo Sri Lanka si piazza tra i luoghi che più mi attrae e incuriosisce. Parto con una lacuna culturale perché so ben poco di quel che mi attende ma una volta atterrata mi trasformo in una spugna per assorbire tutto ciò che questo luogo ha da darmi. 
Colonia britannica fin dall’Ottocento, l’isola si accaparra il nome “lacrima dell’India” per forma e posizione e in men che non si dica scopro una di quelle cose che non si leggono sulle guide turistiche.

Monica è un nome comune cingalese e lo capisco facendo una chiacchierata con Kumari, la proprietaria della lavanderia verso la quale mi reco subito perché sono reduce da un lungo viaggio in Vietnam. Tra una parola e l’altra scopro che quel giorno Kumari compie cinquantadue anni, le faccio gli auguri e le dico che sarei tornata l’indomani per recuperare i vestiti ma soli venti minuti dopo sono di nuovo da lei con un muffin al cioccolato in mano. Mi guarda incredula, sfoggia il più ampio dei suoi sorrisi, mi ringrazia con gli occhi lucidi e mi confessa che è il primo regalo che riceve. Sono questi i piccoli momenti che mi ricordano perché amo viaggiare.

Fin dai primi giorni di viaggio è lampante come qui la serenità sovrasti il caos e come il verde della natura sia onnipresente. Se dovessi disegnare lo Sri Lanka, prenderei una tela grigia come le nuvole di questi giorni e il calcestruzzo utilizzato per le costruzioni locali prive di intonaco, aggiungerei ampie spennellate di un verde intenso volto a rappresentare le giungle sconfinate e gli ampi terrazzamenti di tè e per ultimo inserirei tanti irregolari e colorati dettagli che ritraggono gli shop a bordo strada. Dipingerei anche le palme, tante palme.

Durante questo viaggio l’isola ci offre ogni giorno qualcosa di diverso, il termine noia non so nemmeno come si scriva: prima la foresta, poi la giungla, e dopo ancora il safari. Sveglia all’alba, la quarta in questa settimana. Il timore di accumulare stanchezza viene sempre scacciato dal momento in cui esco dalla camera e mi metto in moto, che sia per un risveglio muscolare a base di trekking, bicicletta o safari come oggi.
Salgo sulla jeep, sono le 5.35 di sabato 18 gennaio, è buio e il vento fresco fa svolazzare la bandana che ho tra i capelli così come i pensieri che lasciano spazio all’esigenza di mettere nero su bianco le sensazioni che sto provando. Credo che viaggiare voglia dire anche questo, fare a meno delle comodità per avvicinarsi ulteriormente al paese che mi ospita e saper apprezzare momenti semplici.

Tra le esperienze più toccanti vissute su questa terra scelgo le ore trascorse insieme ai monaci. I miei compagni di viaggio ed io raggiungiamo un tempio situato in cima ad una collina e ci immergiamo in un contesto delicato e spirituale. Ci accoglie un monaco con la stola bordeaux (le monache invece sono avvolte da tuniche arancioni) e ci invita a mangiare con le mani un pasto puramente vegetariano prima di trasmetterci alcune nozioni fondamentali sulla meditazione. La giornata è meno umida delle altre, il cielo è grigio ma non cupo, le nuvole ci danno un certo sollievo perché lì, in quel momento, accompagnano il vento che ci accarezza con potenza ma senza invadenza. È la cornice perfetta per meditare, per fare quello che stavamo facendo tutti insieme, per avvicinarci a una filosofia che in quel momento accumunava tutti noi.

La cortezza e saggezza del monaco, che ci trasmette il suo sapere senza saccenteria alcuna, sono disarmanti. Gli racconto un episodio che giusto il giorno prima mi colpì e la sua semplice risposta si rivela fulminante: “Se quella ragazza è stata d’ispirazione per te, pensa per quanti anche tu potresti essere un esempio.” Mi sbalordisce e mi dà uno spunto sul quale riflettere. Lascio questo luogo leggera, ispirata, grata, con la voglia di approfondire quello che da diversi mesi ormai bussa alla mia porta.

Arriviamo infine sulla costa meridionale. Questa zona cingalese offre onde interessanti rendendolo lo sport perfetto per i surfisti che approdano da ogni parte del globo. Vogliamo forse farci sfuggire la possibilità di prendere le tavole e imparare a cavalcare? La risposta potete immaginarla.

Dopo un mese in Asia concludo con una conferma affatto nuova: la salsedine è per me un toccasana per corpo e mente. Per quanto queste ultime notti mi addormenti con il rumore soave delle onde, il più bianco dei rumori bianchi, realizzo che non si tratta di un sogno, sul mio passaporto ora c’è anche il timbro dello Sri Lanka.

2 commenti Aggiungi il tuo

  1. Avatar di Ravelguide srl sergio ha detto:

    Bravissima! Si può organizzare un self drive in Sri Lanka?

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    1. Avatar di Monica Momo Maida Monica Momo Maida ha detto:

      Grazie mille Sergio 🙂 Io mi sono affidata a guide locali ma credo che si possa fare anche in self-drive con la patente internazionale

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