Sono gli ultimi giorni del 2021, anno scandito da incertezze e continue sfide per chi desidera viaggiare. Consapevole dei rischi che posso correre, scelgo di riempire lo zaino che da troppo tempo è rimasto vuoto e, nel pieno rispetto delle regole Covid, prendo un volo per il Qatar.
Meta mediorientale quasi sconosciuta, posto dove si spingono pochi turisti, luogo che mi affascina per essere ancora poco esplorato. Motivi geopolitici hanno spinto il Qatar ad essere isolato dal resto del mondo per molti anni, ora invece si respira profumo di riscatto: a partire da novembre 2022 il paese ospiterà i mondiali di calcio e la volontà dei qatarioti di prepararsi al meglio per questa vetrina internazionale è alle stelle.

A dimostrarlo, l’infinito susseguirsi di cantieri che si spalmano lungo le vie della capitale, i 14 stadi che stanno fiorendo tra le distese di sabbia, i grattacieli che fanno a gara per raggiungere la vetta più alta. Oggi ho il privilegio di vederlo così, vergine com’è. Non ha una storia robusta alle sue spalle, il paese è ancora in via di costruzione, ma tra le vie della capitale si respira innovazione, creazione e futuro.
Dopo un giro nel souq che raccoglie tutta la tradizionalità del luogo, cammino come una formica ai piedi dei grattacieli che spuntano nel quartiere West Bay e che delineano lo splendido skyline di Doha. Col naso all’insù penso che il paese abbia ancora poco da offrire ma che, dietro al suo essere ancora insipido, ci sia un grande potenziale che a breve verrà sprigionato.

Il forte legame con la religione musulmana è tangibile e i tratti distintivi della cultura non perdono occasione di palesarsi: donne col volto coperto che mangiano separate dagli uomini, muezzin che dai minareti della moschea richiamano i fedeli alla preghiera cinque volte al giorno, spezie che si trovano puntualmente in ogni piatto, macchinoni alimentati dalla benzina prodotta qui a dismisura.
Mi sposto nel deserto, luogo che mi affascina per i ritmi e gli orizzonti che regala, e mi diverto con del dune bashing a bordo di un SUV. Le distese di sabbia infinite, il sole tiepido che illumina le dune al tramonto, il vento che mi accarezza i capelli, il golfo in lontananza che incornicia questo dipinto. I colori sono tenui, l’atmosfera è pacifica, lenta, da respirare a pieni polmoni. Ad accogliermi a fine tragitto, una tenda che mi cullerà per tutta la notte, ma solo dopo un buon narghilè, una cena speziata, un cielo stellato e della buona compagnia.

Sveglia all’alba, camminata rinfrescante, e ci si sposta a nord della penisola a bordo di un pullmino che ha le sembianze di uno scuolabus. È il primo di gennaio, il tempo è mite, il sole è timido così come sono timidi i luoghi che visito, dal sito archeologico alle mangrovie, dal villaggio dei pescatori alle moschee. Si percepisce che questo non è un luogo apparecchiato per turisti, che si mostra per quello che è, per la sua semplicità, per il suo non essere mai stato in prima pagina. Ed è questo il fascino di vedere un posto calpestato ancora da pochi.

Un nuovo capitolo si apre quando scopro, al termine del mio viaggio in Qatar, di essere positiva al Covid e di dovermi fermare in loco per una quarantena forzata. In un batter d’occhio mi trovo a fare i conti con una di quelle realtà che sembrano sempre lontane dal tuo vivere fino a quando non si concretizzano e ti presentano il conto. Sono sola in un paese che conosco poco ma cerco subito di capire come destreggiarmi correttamente tra le norme governative e sanitarie locali.
Vengo quindi trasferita in un “Covid Hotel” dove incontro persone che sono nella mia stessa situazione: dentro quelle mura si annullano tutte le diversità che ci contraddistinguono, dall’età al tipo di vita che ognuna di noi conduce al di fuori. Siamo sulla stessa barca, abbiamo il medesimo obiettivo e scegliamo di raggiungerlo insieme tenendoci compagnia e supportandoci quando necessario.
Scopro così di fare un viaggio dentro al viaggio, di condividere con delle anime splendide una situazione che sarebbe stata scomoda pure se affrontata in Italia, a casa propria, tra una tisana e l’altra. Figurati all’estero, in un posto asettico con le poche cose messe nello zaino. Sarà un tampone negativo a dichiarare la fine della quarantena e l’ufficiale rientro in Italia.

Eccomi quindi a bordo di un aereo a ripensare a quanto sia stata incredibile questa esperienza, a quanto si sia arricchito il mio bagaglio personale, a quanto (nonostante tutto) non riesca a vedere nulla di negativo in quello che ho vissuto. E soprattutto a quanto sia sempre necessario vedere il bicchiere mezzo pieno e ad essere positivi, o forse di questi tempi è meglio dire ottimisti.
Be positive, stay negative!