La prima volta che venni in Marocco fu nel 2018, lo girai per settimane in lungo e in largo e lo amai alla follia (come vi racconto in questo articolo). Da quell’anno ho fatto molti altri viaggi ma il Marocco è sempre stato in cima al mio podio e ha sempre custodito un pezzetto del mio cuore. Ora rieccomi qui, giusto per lasciare un altro pezzetto ancora.
Atterro a Marrakech, a differenza della volta scorsa dove Casablanca fu la prima città ad accogliermi. Come metto piede fuori dall’aereo, si manifesta la sensazione di phon acceso che mi inonda dalla testa ai piedi accompagnata da quel tipico odore di luogo caldo e arido che caratterizza le zone dove la pioggia è un evento più unico che raro. Descriverlo a parole mi risulta alquanto sfidante ma è esattamente lo stesso odore che mi colpì cinque anni fa e che, ora come allora, mi regala la percezione di leggerezza e libertà.






La prima tappa è senza dubbio il giro nella medina di Marrakech dove, in questo caldo giorno estivo, mi imbatto nella festa del Sacrificio Id Al Adha. Incredibile come, su due volte che visito il Marocco, in entrambi i casi assisto alla ricorrenza religiosa più sentita dalla popolazione musulmana. È un terno al lotto beccare l’unico giorno dell’anno (perché cambia di volta in volta, un po’ come la nostra Pasqua) dove tutta la popolazione si ferma, dove la quotidianità e le attività commerciali vengono messe in pausa per 24 ore per dar spazio alla celebrazione di questo evento. Non mi dilungherò con dettagli sui riti celebrativi perché immaginare montoni sgozzati e cotti per strada potrebbe urtare la sensibilità di molti ma vi assicuro che assistere ad una festa così sentita dal popolo è un modo ulteriore per immergersi nella cultura del Paese.
I giorni a seguire vivo una città completamente diversa e dinamica perché tutte le attività riprendono caoticamente il proprio ritmo. Per lasciarsi inebriare dall’autenticità marocchina bisogna camminare per le strette vie della medina coperte da leggere assi di legno che filtrano i raggi solari. Non importa quanto caldo faccia, dovrai sempre contrattare con i venditori dei souk che sia per uno zainetto di pelle, un flacone d’olio d’argan, un pugno di datteri o un dolce mieloso ricoperto da api.
Il momento del viaggio che preferisco si palesa quando i miei amici ed io ci dirigiamo verso il deserto di Zagora. Meno battuto rispetto Merzouga (altra località marocchina dove protagoniste sono le dune di sabbia), questa zona del Sahara ha la particolarità di essere rocciosa. Se ho fatto bene i conti, è la quarta volta che mi ritrovo in un campo tendato nel deserto e ogni volta le emozioni sono sconfinate e acute. L’aridità è affascinante e il silenzio assordante, i movimenti sono lenti, le distrazioni sono assenti. Ascolto l’immensa quiete intorno a me, mentre sono lì in mezzo al nulla che in quel momento sembra tutto.



E quando cala la notte mi ritrovo a dormire all’aperto distesa su un tappeto, illuminata dalla potente luce della luna. Penso a quanto la semplicità dovrebbe pilotare la vita e a quanto il silenzio possa fare più rumore di molti altri suoni.
Non è forse vero che si torna dove si è stati bene?
