“Fotografa con gli occhi” dice mia mamma. Faccio tesoro di queste parole fin da quando imparai ad allacciarmi le scarpe ma mai come ora compresi il significato di quel suggerimento saggio e affettuoso.
Adoro scattare fotografie, specialmente se poco studiate a tavolino, specialmente se frutto della tempestività nel saper cogliere un attimo fuggente. Immortalare una scena, freezzare un momento. Il mio occhio è sempre vigile e la gallery del mio cellulare colma di immagini ne è la conferma. Solo rinunciando a qualcuna di esse, però, inizio a capire cosa si celi nella frase materna di cui vi parlavo.

Sono al Giardino degli Aranci, uno dei posti più suggestivi della capitale. Luogo incorniciato da pini marittimi, condito da note musicali che si mescolano allo scricchiolio della ghiaia nata dai passi di chi si dirige verso l’ampio terrazzo che si affaccia sulla città. Vista magnifica, ma da quassù alcuno scatto evocherebbe appieno l’atmosfera che sto vivendo.
Maturo la stessa sensazione quando mi trovo al Pincio mentre il tramonto si palesa e il sole mi saluta; oppure quando ho vista diretta su San Pietro sbirciando dal buco di una serratura che dista chilometri e chilometri dalla basilica, vera chicca romana.
In ognuno di questi casi la testardaggine e l’amore per le foto mi spinge a tentare alcuni scatti ma, dopo diversi tentativi e risultati poco soddisfacenti, ecco che echeggia in testa la famosa frase “Fotografa con gli occhi”. Poso il cellulare e, con la consapevolezza nel cuore, mi godo quegli istanti inquadrando con gli occhi quei dettagli che probabilmente con un dispositivo non avrei colto.

La vista però non è l’unica a beneficiare di ciò che Roma mette sul piatto. Mi rallegro quando l’attesa della metro viene ingannata con la traccia di una canzone trasmessa dagli altoparlanti della fermata, mi delizio con i piatti succulenti tipici della tradizione romana, sorrido quando i forni e le cornetterie sparse per la città sfornano prelibatezze ed emanano profumi di felicità.
In questi due mesi di vita nella capitale è bastato alzare lo sguardo dalle chat di WhatsApp, che rubano continuamente la nostra attenzione, per acchiappare il maggior numero di particolari urbani. I resti architettonici risalenti all’età imperiale che mi circondano mentre passo da un tornello all’altro della metro; i locali di ogni tipo che si sviluppano nei seminterrati dei palazzi sfruttando gli spazi che un tempo erano dedicati alle cantine; le fontanelle con acqua potabile e disponibile a tutti che si innalzano ai lati delle strade.
Non ho fotografato nulla di tutto ciò, eppure ho riempito la memoria. La mia, non quella del telefono.